Anghingò
1992Di e con Alessandro Bergonzoni
Regia: Claudio Calabrò
Scene: Mauro Bellei
Ufficio Stampa: Riccardo Rodolfi
Organizzazione e distribuzione: Progetti Dadaumpa
Assistenza tecnica: Tema Service
Produzione: I Piccioni di Piazza Maggiore
ACQUISTA Itunes Amazon |
“Basta un codice deontologico (o anche solo un nonno ferroviere) per sperdere al vento l’inerzia di un momento”.
Per scrivere questa frase su di un mulo alto che separava i somari dagli asini, ho impiegato trentatrè anni di vita, undici di prove, otto di ripensamenti, dodici giorni trattenendo il pensiero, cinque minuti di recupero e solo un secondo e un dolce per rompere il digiuno della mente liquida. Va detto che tutto questo non mi serve per dimostrare che per fare uno spettacolo ci sono dieci regole d’oro: sei le hanno rubate, tre le ho perse cercandole, due le porto sempre con voi e quelle che restano sono solo frutto della passione, cioè dell’immaginazione, la stessa azione immaginata che Adamo ed Uva conobbero nel paradiso dei grappoli. Un peccato quantomeno originale, un rito iniziale, quasi un’introduzione finale fatta prima di poi. “Intro”: dentro, “Duzione”: “du” da “da” e “zione” da zio parente di “ada” e amico di “in con su per tra fra”. Introduzione breve cioè catatonica: “cata” dalla parola “lessi” (catalessi = prendi il cane), “tonica” da Tony nome d’arte di Cata (Tony prendi il cane o prendi il cata Tony…). Insomma un’inversione di pendenza che fa risalire ad Alfa ed Omega cioè l’inizio e la fine che si collegano un numero imprecisato di volte e di volti, forse sei. E il contrario di sei è sono: infatti io sono sicuro di poter contare su una certa concentrazione per vagare in dodici metrici cubici di palcoscenico in cui lo spazio di tempo che intercorre tra ciò che farò e ciò che dirò è di circa parecchio. Mi spiego peggio: è un “ring” progettato per botte e risposte dove coaguleranno avventure sanguigne e genuiigne, viccissi e tudini, azioni a reazioni di chiunque si chiami Mattia Bresson, Piero pei, dottor Lebù, Bravamaria (testimone chiave accusata di duplicato) e Cindy (che sposa un’idea e partorisce tre progetti dato che fu posseduta su un tecnigrafo da Tony, ve lo ricordate?, quello di Cata!). Il punto di ritrovo di tutto questo sarà il percorso, percorso in rotta di collisione con me, che mi alzerò in volo solo quando il mio controllo e la sua torre mi daranno l’occhei e comincerò a girare in orbita nel grande CAO (sia perché odio le esse sia perché un inizio senza fine non sarebbe Tale: vi ricordate Cindy…? Quella di Cata…?).
Anghingò è solo una mosca bianca sulla neve, un titolo che si scioglie, una parola con le ali, e questo perché?
Domandare è lecito rispondere è fantasia.
Alessandro Bergonzoni
Ancora solo sul palcoscenico contro la realtà, ad inseguire invenzioni della fantasia, sconvolgendo sensi, parole, significati e ricostruendo immagini senza peso apparente, ad un passo dall’immaginario. Il campo si battaglia prima del palcoscenico è il foglio bianco, dove Bergonzoni si misura con le parole che, nel bene o nel male, ormai sono sue, così come per un pittore suo è il tratto. Anghingò ne è un ulteriore esempio; l’autore prende le distanze dall’ attore per ricongiungersi con lui solo dopo, sul palcoscenico dove ha inizio la cavalcata attraverso questo piccolo universo comico. Lo spettacolo si avvia in un’atmosfera rarefatta, nella scena composta di oggetti “domestici” pensati per arredare storie Bergonzoniane o abitazioni piene di pensieri: uno spazio ordinato a chiudere un piccolo lembo di palco dove l’attore starà un po’ stretto. E Bergonzoni ci stà stretto, così come ci stanno strette le sue storie, anzi, la sua storia, perché di una storia Anghingò tratta. O meglio si tratta della difficoltà di Bergonzoni nel raccontarla, nel rimanervi legato, quasi fosse una gabbia (come il palco) troppo piccola. Ma i personaggi si muovono ugualmente, attraverso un percorso che distingue gli avvenimenti ma passano “inevitabilmente” attraverso le domande, le interrogazioni, i dubbi. Sono le domande a delineare la “storia”, le situazioni si formano intorno ad esse, quasi negando ai singoli personaggiun po’ di indipendenza, o dimostrando che i ruoli si confondono. Forse per Bergonzoni la trama non può esistere, o forse la realtà non supera la fantasia; infatti la realtà è bandita e con essa i suoi confini.
Claudio Calabro’